Questa è una storia come tante, ma siccome è una storia di vita è anche una storia unica, fatta di gioie, dolori, sacrifici, esperienze forti ed anche, inevitabilmente, intrecciata di giallorosso, come la storia di ogni beneventano. Pino, all’anagrafe Giuseppe, nasce un giorno di Capodanno della metà degli anni Cinquanta, in una Benevento che sta cercando faticosamente di curare le ferite morali e materiali, difficile dire quali siano le più profonde, della Seconda Guerra Mondiale. I bombardamenti del 1943, l’orrore gratuito e distruttivo che si portano dietro sono tutti negli occhi e nei cuori dei beneventani di quella generazione, che però non si lasciano sopraffare. La vita è dura, l’economia cittadina stenta a ripartire eppure c’è voglia di guardare al futuro, di ricostruire il tessuto sociale di una comunità spossata. Pino non nasce in una famiglia ricchissima, il papà Antonio fa il muratore, la mamma Giocondina è una casalinga che deve pensare a 5 marmocchi in giro per casa, mettere pranzo e cena a tavola per tutti e tutti i giorni non è impresa scontata. Eppure Pino cresce felice, sereno, nella sua casa in zona via del Pomerio. Si divide tra un bagno estivo al fiume Calore, allora sì che si poteva, una partita a pallone sul cemento di piazza Duomo e la scuola, il minimo essenziale, perché poi urge trovare un lavoretto per aiutare il traballante bilancio familiare.

Cresce Pino e appena più che ragazzo, a 21 anni, ecco la svolta della vita, quella che la cambierà per sempre. Un giorno nella cassetta della posta una lettera misteriosa, aperta la busta ecco la sorpresa: complimenti Pino, hai superato il concorso, a breve il tuo sogno si realizzerà, diventerai Vigile del Fuoco. E’ una festa in casa, un lavoro più che dignitoso, un impiego pubblico, il famoso posto fisso che risolve mille problemi. Già, ma c’è un però, un però mica da poco. Il lavoro c’è, ma per prenderselo bisogna lasciare Benevento e non per andare esattamente dietro l’angolo: Udine, recita la fredda letterina ministeriale. Pino non si perde d’animo, prende la cartina e scopre che Udine è lassù, ma proprio lassù, ai limiti della cartina, perché  lì finisce anche l’Italia. Ma lui è una testa dura, prepara la valigia, ci mette dentro tutto, speranze, sogni, ansie, timori, dà un bacio ai genitori e ai fratelli, asciuga qualche inevitabile lacrima e parte, su un treno che ci mette una vita a risalire lo Stivale. E’ il 1976 e il Benevento ha appena buttato al vento il campionato della vita, sfiorando quella serie B, che, incredibile a dirsi, sarebbe arrivata solo 40 anni dopo esatti.

E’ duro l’impatto di Pino con il Friuli: il clima, il dialetto incomprensibile, una città e una mentalità agli antipodi da conoscere in fretta, ma soprattutto una regione in ginocchio per il terribile terremoto che l’ha colpita. Un giovane Vigile del Fuoco, inevitabilmente inesperto, che si trova a fronteggiare un evento più grande di lui. Ma Pino è uno tosto, non si perde d’animo, impara subito il lato più duro del suo lavoro, si fa apprezzare e voler bene da tutti, a Udine conosce la donna che diventerà quella della sua vita, una donna forte e piena di quei valori che del Friuli sono l’emblema. Con lei costruisce una famiglia meravigliosa, in casa il dialetto beneventano è una macedonia col dialetto friulano, il liquore Strega si fonda con la grappa friulana. Gli anni passano, appena può Pino monta in macchina e trascina tutti  giù a Benevento, perché nel cuore la terra natìa è un sentimento che non si può soffocare e Pino non ci pensa proprio.Ma quando verrà il Benevento a Udine?”, mi chiedeva negli anni bui e mi toccava rispondergli: “Quando l’Udinese scenderà in serie C e la metteranno in mezzo ai terroni!!”, gli rispondevo io. Ha festeggiato gli scudetti del Napoli sugli spalti del Friuli, si è mischiato in mezzo ai tifosi azzurri in ogni occasione e nel cuore sempre quella speranza, il Benevento lassù.

I suoi figli sono diventati ragazzi, ora sono un uomo e una donna forti come il padre, Pino è andato in pensione e finalmente il miracolo: il Benevento ha rotto il ghiaccio, è andato in serie B, finalmente nel calcio che conta. “Vedi che la Primavera del Benevento verrà a Udine in trasferta”, neanche gli ho mandato questo messaggio che è arrivata la risposta: “Fammi sapere quando, ci andrò di sicuro”. Inutile dire che il giorno X all’ora X Pino era lì, sul campetto di Codroipo, con famiglia al seguito e sciarpetta giallorossa al collo: “Orgoglioso di aver visto il mio Benevento con l’Udinese”, il suo commento entusiastico alla giornata. Ma il bello doveva ancora venire: a bordo del suo indomabile camper, pavesato di giallorosso da cima a fondo, con la complicità del fratello Enzo di stanza a Milano, è partito il fantastico tour delle trasferte del Benevento al Nord: Vicenza, Ferrara, Verona, Vercelli, Cittadella con tanto di mega inquadratura Sky. Una vagonata di emozioni, un viaggio nel tempo, la gioia di risentirsi pienamente e totalmente beneventano dalla punta dei capelli alle punte dei piedi, proprio come quando da ragazzino si lanciava scapicollandosi nelle acque terse del Calore. C’è voluto tempo, tanto tempo ma Pino è stato ripagato e la meravigliosa ed indimenticabile domenica nella fornace di Carpi, nell’andata della finale playoff, è stato il premio più bello che il destino ha voluto dare a Pino e a tutti quelli  che, come lui, hanno avuto il merito di mantenere alta, forte, potentemente accesa la fiammella dell’amore verso la propria città e quello che in maniera più gioiosa e tangibile la rappresenta, la squadra di calcio, quelle magliette giallorosse. Già la serie A. Pino l’ha festeggiata a modo suo, portando la sciarpetta del Benevento sulle cime più alte delle Alpi, quelle storiche del Giro d’Italia, con la sua inseparabile bicicletta. Foto bellissime, scatti irripetibili che conservo gelosamente.

Domenica, per la prima volta nella sua storia, il Benevento giocherà ad Udine, in uno stadio ultramoderno, quasi fantascientifico. Pino sarebbe stato lì domenica, con i suoi amici della Sezione Friuli, un gruppo di tifosi sanniti residenti da quelle parti, avrebbe trascinato tutta la famiglia alla Dacia Arena, avrebbe costretto il fratello Enzo a raggiungerlo da Milano, avrebbe sventolato sorridente, fiero, orgoglioso la sua bandiera giallorossa nella città che dopo 40 anni è diventata anche sua, con negli occhi la gioia incredibile di quel punto acchiappato col Milan. Pino domenica purtroppo non potrà esserci, ora combatte una battaglia durissima, al limite delle sue possibilità. Sarebbe stata una domenica speciale questa per Pino, anzi sarebbe stata la sua domenica. Ma io non ci voglio stare e butto via questo odioso condizionale: è una domenica speciale per Pino ed è la sua domenica, un giorno gliela racconteremo, gli faremo vedere foto e immagini, anzi non ce ne sarà bisogno, perché comunque domenica lui in qualche modo la vivrà insieme a  noi…forza Pino, non mollare, forza zio carissimo, siamo tutti con te e ricorda…la gente come noi non molla mai!

Sezione: In primo piano / Data: Sab 09 dicembre 2017 alle 07:00
Autore: Antonio De Ianni
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